Venerdì, 22 Aprile 2011 02:15

Habemus Papam. Il papa fragile di Nanni Moretti

Scritto da  Gerardo

"Non è una fiction, ma un apologo sul potere, la solitudine, il bisogno (e la mancanza) di affetto. Un film spesso folgorante. Dove Michel Piccoli, che intere generazioni hanno conosciuto come impeccabile e algido seduttore, ora incanta nel ruolo di un pontefice che annaspa in cerca di umanità".
Con queste parole inizia l'articolo di Marco Politi, apparso in “il Fatto Quotidiano” del 15 aprile, dal titolo Il papa fragile di Nanni Moretti.
Buona lettura!


Il papa fragile di Nanni Moretti
di Marco Politi
in “il Fatto Quotidiano” del 15 aprile 2011

Non è una fiction, ma un apologo sul potere, la solitudine, il bisogno (e la mancanza) di affetto. Un film spesso folgorante. Dove Michel Piccoli, che intere generazioni hanno conosciuto come impeccabile e algido seduttore, ora incanta nel ruolo di un pontefice che annaspa in cerca di umanità. Esplorare il labirinto vaticano è un’operazione delicata. Ne vengono fuori in genere polpettoni a grandi tinte o bozzetti edificanti dal tono clerical-nasale. Nanni Moretti nel suo Habemus Papam spariglia le carte, perché non vuole ricreare in cartapesta un presepe ecclesiale, ma pungola gli spettatori a seguire l’avventura di un personaggio, si potrebbe dire di un’anima. Il Papa inadeguato. Il Papa che urla “Non ce la faccio” e si rifiuta di apparire sulla Loggia delle Benedizioni.

Sono gli artisti, i giullari a cogliere spesso il senso delle cose e a gettare in faccia tra lazzi e sberleffi la verità. Quando morì papa Luciani, il vignettista di Le Monde, Plantu, disegnò un’enorme cupola che si abbatteva e schiacciava lo sventurato prete veneto diventato inopinatamente pontefice di Santa Romana Chiesa. Nanni Moretti, nel film che ha pensato come commedia, ma che è diventato molto di più (pur rimanendo godibilissimo), rilancia una sensazione che si è diffusa nella massa dei credenti e diversamente credenti: fare la guida, in nome di Cristo, di oltre un miliardo e cento milioni di cattolici è un macigno quasi impossibile da portare da solo. Lo disse espressamente – alla vigilia dell’ultimo conclave da cui uscì eletto Benedetto XVI – un veterano fra i cardinali, Roger Etchegaray: “Nel mondo globalizzato fare il Papa è diventato un compito sovrumano”.
Non poteva saperlo Moretti, perché mentre lui girava, il pontefice si confidava al giornalista tedesco Peter Seewald. Ma anche Ratzinger prima di affacciarsi alla Loggia ha cacciato un grido silenzioso rivolgendosi a Dio: “Cosa fai di me? Adesso Tu hai la responsabilità. Tu mi devi condurre! Io non ce la faccio. Se Tu mi hai voluto, allora Tu mi devi anche aiutare”. Lo si può leggere nell’ultimo libro-intervista papale “Luce nel mondo”. Una emozionante confessione su quel tema dell’inadeguatezza, che fa da filo conduttore del film. Gli artisti sono precisamente questo: antenne che captano la realtà spesso nascosta nel brusio del quotidiano.
E la realtà è che oggi non basta più sedersi sul trono di Pietro per comandare su un gregge di fedeli. Oggi bisogna convincere. Arrivare alla mente e ai cuori di uomini e donne, magari per essere contestati e discussi, ma arrivare… Non servono esseri sovrumani, c’è sete di esseri umani. Lo aveva già capito Paolo VI, quando sottolineava che l’epoca contemporanea non vuole più maestri (con il ditino alzato, si potrebbe aggiungere), ma si aspetta “testimoni”. Ed è questo – detto tra parentesi – precisamente il dilemma dell’attuale pontificato. Fino a che punto chi parla dalla Basilica vaticana riesce a trasmettere un senso di affettività per entrare in contatto con uomini e donne nel loro difficile cammino esistenziale?
“Ha dei legami affettivi?”, chiede la psicanalista Margherita Buy al papa Piccoli in fuga per le strade di Roma. “No”, risponde candido il neo-pontefice. Aggiungendo ancora più candidamente: “È la mia vita”. Qui Moretti, abituato a curiosare negli angoli della psiche, tocca delicatamente uno dei nodi più drammatici della condizione del prete oggi. La solitudine. Il deserto affettivo, che porta tanto clero all’aridità, all’alcolismo, alla pornografia, ai rapporti selvaggi etero oppure omosessuali, al carrierismo, al consumismo, all’accumulo nascosto di tesoretti economici, al nepotismo sfrenato. Non è un disconoscere i preti validi sulla breccia, è un riconoscere la durezza nascosta della loro situazione. Non è un caso allora che il co-protagonista occulto della storia di Habemus Papam sia la Donna, che Wojtyla e Ratzinger hanno voluto escludere per sempre dalla sfera del sacro e che – nonostante alati discorsi – si continua a tenere lontana anche dalla sfera decisionale e partecipativa della Chiesa. Sono sempre donne quelle che rivolgono un gesto di tenerezza, di aiuto e di “guarigione” a papa Michel, marchiato da “deficit di accudimento”. Alla fine Moretti, che interpreta uno psicanalista in Vaticano, riesce a produrre contemporaneamente un’opera ironicamente laica e al fondo cristiana. Non c’è bisogno che un regista si prefigga un messaggio. Anzi, è meglio di no. Ma di suo – “sein, sein”, come gigioneggia quando affabula in tedesco – Moretti ha posto la questione dell’inadeguatezza-umiltà, che tocca la sorte di molte vite quotidiane, ma dovrebbe attrarre anche l’interesse di molte esistenze monsignorili. Egualmente tocca le corde del cattolicesimo profondo l’appello a un mutamento della Chiesa perché diventi capace di trasmettere un’immagine di amore e comprensione.
E fortunatamente il regista non ha fatto l’errore di voler teorizzare un programma e meno che mai di volerlo attribuire al protagonista. Con mano lieve, tra uno svizzero che si ingozza di dolci papali e un cardinale pallavolista, si è limitato a socchiudere la finestra sul desiderio di moltissimi credenti (e, paradossalmente, anche di tanti non credenti). Se don Georg Gaenswein vuole regalare una bella serata a Benedetto XVI, porti nell’appartamento papale un video di Habemus Papam. Ratzinger di solito ama rivedere di sera qualche vecchio Don Camillo e Peppone. Lo intrigherà guardare un pontefice, che si affaccia alla Loggia esclamando: “Ci vogliono cambiamenti, ci vuole una Chiesa che incontri tutti”. E poi si dimette.
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